CORRIERE DELLA SERA: ISABELLE HUPPERT STAR DEL FILM HAPPY END E MARVIN

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Procede la lunga e intensa carriera di una delle più celebri ed amate attrici francesi che solo nel 2017 ha recitato in tre diverse pellicole. Attualmente è al cinema come protagonista femminile del film drammatico Happy End

Isabelle Huppert, indiscutibilmente la migliore attrice della sua generazione (è nata nel 1953), è impegnatissima. Parla da Parigi e sembra di vederla con uno dei sui sorrisi brevi quando dice: «Ho un divertente e bel ricordo di quando sono venuta a Los Angeles ai Free Spirit e agli Oscar perché ero stata nominata per diversi premi grazie al film Elle, che ha di gran lunga anticipato e affrontato il tema della violenza e dei soprusi sulle donne».

Recentemente Isabelle è stata impegnata in Francia, dopo una breve sosta in cui è stata anche al Festival di New York in ottobre per la promozione di Madame Hyde, scritto e diretto da Serge Bozon, in cui è una professoressa alle prese con le derisioni dei colleghi, il bullismo di alcuni studenti difficili e un fulmine, proprio un fulmine dal cielo, che incide sulla sua personalità e provoca una svolta nella sua vita. Il film le ha portato critiche americane super positive perchè Isabelle negli Stati Uniti è osannata dalla critica senza riserve, sempre.

Alle domande politiche sulla Francia con un nuovo e giovane Presidente, Emmanuel Macron, ha risposto: «Spero in un grande lavoro per l’Europa senza erigere muri, aprendo porte e nell’impegno per l’ambiente». E come aveva detto a Cannes, ritirando il premio “Women in Motion”, ha dichiarato: «Quando posso e me ne viene offerta la possibilità, amo molto essere diretta da una donna e spero mi possiate vedere presto in Reinventing Marvin di Anne Fontaine».

Dice di aver preso parte con molto interesse a una serie che l’ha riportata al piccolo schermo, The Romanoffs, creata da Matthew Weiner (del regista basta ricordare il suo successo per Mad Men e il suo lavoro per The Sopranos), e con attenzione, dichiara: «Per me il film Happy End appartiene a una pagine già chiusa: è uno dei penultimi tasselli della mia filmografia, l’ho sostenuto al Festival di Cannes, e a molti altri in cui, a seguire, è stato proiettato, sempre felice di essere al fianco del regista Haneke. Attualmente, però, sono impegnata nei primi lanci del nuovo film di Benoît Jacquot, ossia Eva».

E’ stato un ruolo arduo?
Senza dubbio lo è stato sia fisicamente che psicologicamente. Per settimane abbiamo vissuto tra neve e tormente perché il tutto si svolge in alta montagna dove la mia misteriosa donna incontra in un rifugio uno scrittore. Sarò sullo schermo anche al fianco di Chloe Moretz in The Widow di Neil Jordan, un autore che mi piace molto anche come scrittore, e girare in Irlanda per me è una gioia. Ritorno a Dublino sempre con piacere. Mi interessa lavorare con giovani attrici di diverse nazionalità, sono sempre aperta a incontri culturali e professionali con colleghe di altri Paesi.

Non è tutto, perché in Francia sta presentando il film Reinventing Marvin, diretto da Anne Fontaine, che considera ottima come regista e sceneggiatrice. «Sullo schermo sono me stessa – racconta – perché il film affronta la vita e i sogni di un ragazzo che vuole diventare un attore, un ballerino, entrando a far parte del “circo” dello spettacolo in varie forme. Il giovane proviene da una famiglia povera, ha alle spalle un’infanzia dura, misera in molti sensi. Amo questo lavoro di Anne, ma non sempre ho potuto accompagnarlo ai Festival dove è stato presentato. E’ un film che spero tanti giovani decidano di vedere perché entra nelle aspirazioni di un loro coetaneo, nelle sue fragilità e nelle sue scelte».

Ride: «Mi sono molto impegnata a “interpretare me stessa”: divento Isabelle Huppert, il mio doppio e vedo l’intolleranza e gli attacchi “bullies” che circondano il giovane e lo feriscono».

Il film, che ha conquistato il “Queer Lion” all’ultimo Festival di Venezia, è stato venduto in tantissimi Paesi.

«In quanto al lavoro con Haneke – riprende – per me è sempre un traguardo stimolante e Happy End, titolo davvero sarcastico, è anche un’analisi della vita francese in una città come Calais, dove il problema dell’immigrazione è forte come lo sono le difficoltà dell’integrazione. Nel film questo aspetto è solo sullo sfondo, ma per diverse angolazioni sociali si correla alla famiglia alto borghese all’interno della quale Haneke affronta con umanità e pessimismo ogni piega della convivenza tra i membri, tutti osservati dal patriarca Jean Louis Trintignant, costretto su una sedia a rotelle e che ben sa come ognuno aspiri al controllo dell’ azienda che lui ha creato, tenendone sempre le redini in mano».

Lei ha creato una famiglia serena, è vicinissima ai suoi tre figli, Lolita, Lorenzo e Angelo, ha vinto innumerevoli premi, è da anni legata a suo marito, Ronald Chamman, con un determinato senso della vostra privacy: come concilia e armonizza i suoi impegni?
Per tutto faccio un piano di lavoro e lo seguo, pur con qualche necessaria trasgressione. Al mio fianco, in ogni decisione della famiglia, ci sono sempre mio marito e i miei figli. La carriera, il lavoro, sono punti fermi della mia vita che, però, si basa sulla stabilità del mio privato. E’ il mio mondo e al suo interno c’è dialogo, ci sono scambi, mai competizioni.

Sua figlia ha scelto la carriera d’attrice…
Sì, Lolita lavora nel cinema, in teatro, in televisione, fa le sue scelte, le sono vicina, ma non interferisco mai.

Che cosa ha provato e considerato districando la fitta trama di relazioni tra figli, nipoti, cognati, fratelli, nonni ( e c’è anche un cane) della famiglia di Haneke”.
Ho recitato con e per questo regista quattro volte, ci conosciamo ormai in profondità. Ho subito fatto mio questo suo ultimo film ambientato in un mondo non facile, come non lo è, d’altro canto, quello che ci circonda. Haneke è un autore introspettivo, ogni gesto e ogni parola per lui contano.

Happy End è un film che coinvolge uomini e donne e fa pensare. Genera anche dubbi, angoscia. Ne conviene?
I nuclei affettivi sono stati spesso al centro dei miei film, basta pensare a Segreti di famiglia di Lars Von Trier. Mi stimola sempre entrare in una sceneggiatura che osserva la complessità dei legami tra gli individui di un stesso ceppo.

Nei dialoghi e nelle circostanze c’è anche sofferenza, non sempre è facile unire un clan affettivo ci ricorda Haneke.
Non lo è di certo in seno ai Laurent e sono presenti i figli di un primo matrimonio, seconde mogli dei fratelli o cognati, ambizioni, rivalse, interessi imprenditoriali come quelli legati all’impresa edilizia che io gestisco dopo il ritiro dal suo ruolo del personaggi di un ricco, forte uomo d’affari, quello interpretato da Jean-Louis Trintignant, mio padre nella vicenda.

Vuole dire qualcosa di Trintignant, un attore amatissimo da anni in Francia e in Italia, dove, come lei d’altro canto, ha lavorato molto?
Mi è profondamente caro questo grande attore, uomo sensibile e riservato, che ha attraversato la storia del cinema europeo e al quale la vita purtroppo ha riservato dolori indescrivibili e non solo la morte violenta dell’amatissima figlia. Ricordo quando lo ammiravo in film come Il sorpasso, non so quante volte l’ho rivisto. Anche perché prediligo il vostro cinema del passato, autori come Risi, Ferreri, Zurlini, Pasolini. L’elenco è davvero lungo in tempi in cui erano anche fertili le co-produzioni tra Francia e Italia.

Trintignant ha recitato nei film di Robert Hossein, di Jacques Demy, di Alain Cavalier… Al suo pari ha attraversato la storia del cinema francese
E’ un patrimonio della Francia, oggi ama vivere nella sua casa di campagna, curare il suo giardino, ma continua a essere felice di recitare con persone e autori che sceglie. In campagna si diletta creando anche profumi, è ricco di risorse, di interessi.

In sostanza, lei cosa pensa della famiglia cinematografica dei Laurent di Haneke, ferocemente dilaniata da contrasti interni, che vive e opera a Calais, una città che oggi ha anche uno dei più popolati centri di accoglienza per migranti in Europa?
Mi è apparsa estremamente valida l’ambientazione di questo film di Haneke, non certo casuale, anzi, che rappresenta un perno del lavoro con molti riferimenti alla realtà contemporanea. Inoltre, il concetto atavico della parola “famiglia” oggi deve fare i conti con molte sue trasformazioni, allargamenti, fratture. Come lo deve fare la definizione di borghesia.

Ci sono anche moniti nel film, è d’accordo?
Certo e lo spettatore fare propri i dubbi, i passi di alcuni personaggi e rifiutarne altri. Potrà, dovrà osservare il trasformarsi dei sentimenti, spiare i fallimenti e le vittorie di ogni membro del gruppo, giudicare una forma di razzismo che percorre alcune dichiarazioni di chi, come avviene in questa famiglia, si sente un privilegiato e agisce di conseguenza. Con egoismo.

Che cosa l’ha colpita di più nel tumulto dei rapporti dei Laurent?
La cecità per la realtà che ci circonda di alcuni membri del clan Laurent, indifferenti alle disuguaglianze della società intorno a loro. Calais come centro della vicenda non è stata certo scelta avventizia, tutti noi l’abbiamo studiata nel suo aspetto economico, di classi, di ambizioni estreme per il potere.

Si vede il cantiere dei Laurent con operai, muri che crollano…
Nel film c’è anche il tema della morte, che a tutti ci aspetta, non dobbiamo scordarlo mai. Contro la morte ogni affanno carrieristico e tutte le smanie di potere si dissolvono. Sono alcune riprese con uno smart phone ad aprire e a chiudere vari intermezzi. Mathieu Kassovitz impersona uno dei figli dei Laurent, ed è mio fratello. Il mio fidanzato è interpretato da Toby Jones e impersona un banchiere. Inoltre c’è una giovanissima figlia, Fantine Harduin. Per tutti noi, la storia dei Laurent è stata coinvolgente, ha messo in atto per ogni membro dei Laurent una sorta di esame di coscienza, togliendo maschere.

Non c’è mai un lieto fine nei film di Haneke. Perchè questo titolo?
E, poi, con quale regista un giorno vorrebbe lavorare?
Comincio dall’ultima domanda. Mi piacerebbe essere in un film di Woody Allen. Perchè, è un mio pensiero, in quella villa lussuosa, non lontana dal cantiere dove sono morti due operai, ci sono adulteri, alcolisti segreti, figli annoiati, che vorrebbero essere sereni dietro la loro apparente indifferenza. Spesso mi definiscono un’attrice drammatica, ma io amo anche la commedia. Ecco: il titolo del nostro film è quello di una black comedy.

La rivedremo presto sul grande schermo, ma anche sul piccol0. Vuole dirci qualcosa dei suoi futuri personaggi?
Vorrei che per ora la platea si focalizzasse solo su Happy End. Ci sarà tempo, a seguire, per parlare delle altre tappe: per me i ruoli sono sempre prove, sfide spesso anche estreme del mio lavoro e volutamente non dico carriera.

Non prova mai il desiderio di entrare nei duetti di una commedia?
Certamente, talvolta ho avuto questa possibilità e ritengo di avere un notevole senso dell’umorismo. Tra i miei desideri, c’è anche quello di un musical: aspetto offerte!

In verità ha interpretato molti personaggi “neri” nell’anima e pericolosi nei loro gesti: assassine, matricide, infide avvelenatrici….
Recito da quando avevo sedici anni: con i miei personaggi cattivi sono andata all’inferno, con quelli buoni non sono andata in Paradiso, ma ho compiuto bei viaggi. E resto da sempre e per sempre legata alla mia Merlettaia, il film di Claude Goretta che nel 1977 ha dato una svolta al mio lavoro.

Corriere della Sera – Style Magazine di Giovanna Grassi