La prima pagina di Libero

Leone gay

Pubblichiamo integralmente i testi degli articoli apparsi in prima pagina sul quotidiano Libero, diretto da Vittorio Feltri, che salutano con i consueti tatto ed elenganza, la nascita del Queer Lion Award (ndr.)

DILAGA LA CULTURA ZAPATERISTA. IL LEONE DI VENEZIA ORA DIVENTA GAY.
La Mostra del Cinema premierà pure il miglior film sugli omosessuali. Ridicolo? Mica tanto, ecco perché
Passano anche per il cinema (e ci mancherebbe) la battaglia per i diritti civili, il sostegno ai Dico, ai Pacs, la fecondazione artificiale e pure quella animale. La rivendicazione del divorzio breve, dopo quello seriale, il sì all’eutanasia dei nonni, dei malati o dei solamente annoiati. Ancora, la voglia del bimbo fatto su misura e desiderio. Capelli biondi, occhi azzurri, o a scelta, capelli azzurri e occhi biondi. Come madame vuole e comanda. Poi, la disponibilità per tutti di embrioni congelati o appena appena scottati, à la coque o magari à la carte. E i gay? Ah già, i gay…Mica vorremo dimenticarli questi compagni teneroni, simpatici e alla moda. A Hollywood, la famiglia omosex si è allargata tanto da diventare una multinazionale miliardaria, una lobby politica, un partito presidenziale. Chi non ha ancora negli occhi il bacio appassionato dei mandriani de «I segreti di Brokeback Mountain» (letteralmente: la montagna dal culo rotto). Il film con i due cow boy ricchioni e appiccicosi, presi in prestito dalla pubblicità delle sigarette Marlboro e privati degli attributi dal regista Ang Lee.

Prezzemolo e finocchi
In Italia, non siamo ancora a questo punto; il nostro cinema gay balbetta e freme nella clandestinità. Eppure i segnali sono incoraggianti. Arrivano, anzi piombano, come sempre, dalle avanguardie culturali, intellettuali e cinematografare, da quelli che per vocazione e mestiere sanno sempre prima come gira il mondo. Sono stati all’estero e pretendono di insegnarlo al popolo semplice e un po’ deficiente. Mica gratis, però. Il casus è quello descritto nell’articolo qui sotto. I cervelloni di celluloide che crescono nelle zone umide della laguna veneta hanno deciso che dall’attuale edizione, la 75esima, la Mostra Internazionale del Cinema riserverà un riconoscimento speciale al miglior film che affronta temi e problemi degli omosessuali. Più precisamente, come recita testualmente nel suo gergo snob la nota dell’ufficio stampa, di interesse queer. Che significa, dalle parti nostre e senza giri di parole straniere, di chiaro stampo frocioso. Pure il nome del premio è da film in dolby surround: Queer Lion, «Leone Frocio», gemello omosex del più celebre «Leone d’Oro» che andrà al vincitore del Festival generalista. Insomma, una rivoluzione. Eh sì, gentile pubblico: nasce a Venezia un nuovo genere cinematografico: il gay movie. Accanto a quelli tradizionali: lo spaghetti- western, il legal killer, il giallo poliziesco, il film storico, di fantasia, quello sexy o comico, la spy story o la commedia all’italiana. E cosi, dopo la gaia scienza, eccoci alla gay-art. La giuria, ci informa sempre l’efficiente portavoce del premio al felino gay è composta da cinque rappresentanti del mondo del cinema, del giornalismo (noi siamo sempre dappertutto, come il prezzemolo sul finocchio) e della comunità lesbica e gay. E allora, che vinca il migliore. Però, una domandina la vogliamo fare agli organizzarori del prix veneziano. Questa: le spese per l’organizzazione della manifestazione, per i cachet della giuria, per la statuetta che non sarà d’oro, e però qualcosina costerà, a chi sono in carico? Sono nei contributi statali (e cioè un pochino anche nostri) che vanno ogni anno a finanziare il Festival, oppure c’è qualche filantropo che arriva dall’altra sponda per dar da mangiare al Leone furbetto? Perché, se come crediamo è buona la prima, allora c’è da chiedersi se dopo i gay, il Festival elargirà oro e argento al miglior film sui problemi delle tribù indiane del South Dakota. Oppure sulla sindrome da abbandono degli spazzacamini disoccupati. 0 ci sarà pure statuetta ad hoc al regista che meglio rappresenterà l’epopea dei raccoglitori di rape nella Piana degli Albanesi? La popolazione gay è già diventata, come quella dei Panda in Cina o della tigre bianca della Siberia, una categoria protetta e da difendere a prescindere? Se è cosi, allora sì capisce che il bonus statale di Venezia possa essere una sorta di anticipo di ulteriori premi e cotillons che il governo ulivista prepara per i benemeriti omo (matrimonio, casa Iacp, adozioni, e relative mutua e pensione familiari).

Il beverone indigesto
In realtà tutto il filmone è cominciato ben prima del ciak di Venezia. Comportamenti ostili ai gay, la cosiddetta omofobia, sono puniti per legge in molti Paesi dei mondo, il matrimonio omosex è legge quasi ovunque in Europa e nella Spagna di Zapatero è pure parificato all’unione etero. Per non dire poi dei Dico, dei Pacs e affettuosa compagnia, fino ad arrivare all’ammissibilità della poligamia. In nome del multiculturalismo, del melting pot, della sharia in versione soft-drink. E così, in questo variopinto cocktail di tolleranza, buonismo e stupidità ci beviamo tutto, compresi cervello e razionalità. Nel beverone tutto si squaglia: la stessa parola discriminare, che significa discernere e vagliare, prende la faccia truce e diabolica della segregazione, dell’esclusione razziale. Allora, a qualcuno non basta il semplice rispetto delle diversità, tollerare le libertà e i gusti sessuali di ciascuno. No, il politically correct reclama che tali comportamenti vengano istituzionalizzati, formalizzati, legalizzati in nome della legge e del popolo italiano. E poi, finanziati, foraggiati e sostenuti dallo Stato. Il governo Prodi ha già fatto la sua parte, ora arriva Venezia a montarci sopra chili di panna e crema, a piegare la vena e la schiena artistica a servizio della Causa. Anche un Leone Frocio può andare bene per ruggire contro quel che resta di una famiglia già in fuga e dimostrare che amori gay e coppie di fatto sono un successo. Prossimamente, al cinema. (articolo di Luigi Santambrogio)

LA DIFESA: «C’È L’HA CHIESTO GRILLINI»
Per gli organizzatori è normale: tributi anche per religione e ambiente
Da quest’anno, al Festival del cinema di Venezia, oltre al Leone d’oro ci sarà anche un Leone gay. Un tempo gli attori rifiutavano di indossare i panni di un omosessuale perché temevano gli rimanessero appiccicati addosso come una fastidiosa etichetta. Oggi, interpretare ruoli gay non è più un tabù ma una moda. Che fa curriculum. Anche per questo, oltre che per valorizzare pellicole che altrimenti resterebbero invisibili, tra i premi collaterali del sessantaquattresimo Festival di Venezia è stato introdotto quello al miglior film omosessuale. Il riconoscimento – il nome ufficiale è «Queer Lion» – è organizzato dall’associazione CinemArte di Venezia che, con una propria giuria, selezionerà nelle cinque sezioni ufficiali del Festival di Venezia (Concorso, Fuori Concorso, Orizzonti, Corto, Cortissimo), il film che merita la statuina gay. «A Venezia ci sono 52 premi collaterali. C’è quello per il miglior film femminista, quello per il film ambientalista, uno per la pellicola cattolica. C’è un tributo per il miglior documentario, esiste un riconoscimento per la fantascienza, non vedo perché scandalizza tanto l’introduzione del nostro premio. Per questo motivo, insieme con Franco Grillini, l’ho proposto a Marco Muller, direttore della Mostra del Cinema di Venezia», spiega Daniel Casagrande, presidente dell’Associazione CinemArte. L’ufficio stampa del Festival conferma: «Non avevamo motivi per rifiutare questo premio collaterale. Come tutti gli altri, non può che fare bene al nostro cinema perché darà visibilità a film che rischierebbero di sparire». Sono sempre di più le pellicole che si occupano del mondo omo: basti pensare che hanno orgogliosamente capitolato all’ex ruolo sconveniente sex symbol come Micheal Douglas (ha fatto il poliziotto gay in un episodio di «Will and Grace») mentre Matt Damon, nella stessa serie tv, ha accettato di essere un etero che si finge omo pur di entrare a far parte di un coro gay. «A sdoganare definitivamente i film omosessuali è stato, nel 1994, PhiladeIphia: il regista Jonathan Demme ha voluto attori come Tom Hanks e Antonio Banderas nel ruolo di gay», precisa Casagrande. Non è un caso se per il primo Leone Gay, l’associazione CinemArte vorrebbe vedere selezionato, tra gli altri, «Hairspray» di Adam Shankman (remake di Grasso è bello» di John Waters). Qui John Travolta, l’ex latin lover Tony Manero, indossa un’enorme parrucca colorata e veste i panni di Divine, mamma della protagonista Tracy Turnblad. «Non vogliamo assolutamente influenzare le selezioni del Festival, ma guardiamo con interesse anche al documentario «Deliver us from evil» (Liberaci dal male) che si occupa dei processi ai preti pedofili e che difficilmente vedremo in Italia, e al film « The amazing adventures of Kavalier & Clay» di Stephen Daldry». Casagrande non ha dubbi: se il Leone gay fosse stato introdotto l’anno scorso, l’avrebbe vinto Infamous (Una pessima reputazione) di Douglas McGrath. Racconta del giovane Truman Capote e della sua indagine sul quadruplice omicidio di una ricca famiglia del Kansas, nel 1959. Nella sua ossessiva ricerca dell’assassino Capote, rimane impigliato in un intenso legame con uno degli assassini. «E’ il secondo premio di questo tipo al mondo. Un passo avanti molto importante», conclude Casagrande. Si riferisce all’Orsacchiotto gay (il Teddy Award) introdotto al Festival internazionale del cinema di Berlino venticinque anni fa. (articolo di Lucia Esposito)